Il suono è tutto - Strumenti Musicali - Marzo 2010

Strumenti Musicali - Marzo 2010
a cura di Giulio Cancelliere

La storia di Begotti musicista è abbastanza simile a quelle di tanti suoi colleghi, pur con qualche dettaglio davvero curioso ed inedito. La sua storia di didattica è, invece, quella di un'avventura coraggiosa, andata a buon fine, che ogni giorno riserva nuove sorprese.
Ma come ogni storia deve iniziare dal principio.

SM - Donato Begotti nasce a Milano nel 1964 e quasi subito denota un certo talento musicale.
DB - Sì, a otto anni i miei genitori mi regalarono una chitarra classica che, dopo poco, ho aperto per vedere com'era fatta dentro.

SM - Qualche tempo dopo, però, passo alla chitarra elettrica, come facevano tutti quelli della nostra generazione. Era quella che quasi tutti volevano suonare, perché era bella, i nostri eroi nei poster e nei concerti erano straordinari con quello strumento tra le mani, simbolo di potenza, magari con un muro di Marshall dietro le spalle. Ma il tuo percorso non fu così lineare.
DB - E' vero, anche se incappai pure io nei luoghi comuni chitarra. Intanto avevo un cugino, come tutti, che suonava blues. Guardando lui mi venne voglia di imitarlo. E poi, mi attirava moltissimo tutto il mondo che circondava i musicisti, in particolare i chitarristi, non ultime le donne, non lo nascondo.

SM - Anche l'ormone conta, soprattutto a quell'età.
DB - Appunto. Tutti motivi che ti spingono ad essere creativo non sono da trascurare. Tieni conto, poi, che la chitarra è uno strumento molto personale, nel senso che suona nel momento in cui ne tocchi le corde, a differenza del pianoforte che suona per un meccanismo di leve. Se poi hai un buon amplificatore, esce un suono che ti fa sentire qualcuno, nutre quel tasso di egocentrismo che alberga in ogni musicista, chi più, chi meno, ma in tutti.

SM - La prima chitarra?
DB - Quella di mio cugino, una Eko Kadett pagata sessantamila lire (trenta euro circa). Un segno del destino, perché poi disegnai una chitarra della Eko, la D-Tone.

SM - Un predestinato. Poi ne parliamo. Quanti anni avevi e cosa ascoltavi?
DB - Circa sedici e avevo appena scoperto i Kiss. Poi Van Halen, Judas Priest, Motorhead e i Pooh. Io sono un fan di Dodi Battaglia. E' anche merito suo se suono la chitarra elettrica.

SM - Sai non mi sorprende affatto questa cosa.
DB - Certo, se ami i chitarristi rock non puoi non amare Dodi Battaglia. In Italia abbiamo dei chitarristi straordinari, che hanno scritto pagine di storia e Dodi Battaglia è uno di questi. Io divoravo i dischi dei Pooh e quando sentivo Dodi Battaglia c'era un cosa che mi arrivava al cuore: il suo vibrato. Come vibra un chitarrista dice moltissimo della sua personalità. Soprattutto, Dodi è riuscito a fare una cosa straordinaria: suonando pop, una musica che richiede una certa semplicità, ha applicato la sua classe mantenendosi ad altissimo livello, mentre sarebbe stato più facile cadere nel banale, dato il contesto. E poi il suono. Ebbi la fortuna di conoscerlo all'epoca in cui ero dimostratore Meazzi e lui era endorser di alcuni strumenti della casa. Suonammo nelle stesse manifestarono, ma per me era sempre un maestro: moderno ancora oggi, sempre aggiornatone suoni, un grande.

SM - Detto questo, torniamo a te. Ad un certo punto lasciasti la chitarra.
DB - Sì, per tutta una serie di motivi, ivi compreso la naja, lasciai la chitarra, che avevo sempre praticato da autodidatta, e iniziai lo studio del pianoforte. Poi, però, ci fu il reinnamoramento per la seicorde, ma doveva essere una cosa seria: studio, applicazione, disciplina. D'altra parte, avevo alle spalle due genitori che mi davano fiducia e dovevo ripagarli, non potevo deluderli. Così, a differenza di quello che facevo quando andavo a scuola, con la maturità strappata per i capelli, mi misi a studiare anche quattordici ore al giorno e oggi metto sotto i miei allievi.

SM - Avevi capito che saresti stato un professionista della musica.
DB - No, guarda, professionista è una parola grossa per me ancora oggi. Diciamo che avevo deciso di fare quella cosa da quanto mi svegliavo al mattino, fino a quando me ne andavo a dormire. La musica era ed è il mio hobby. Incidentalmente è il mio lavoro.

SM - Come studente serio sei stato ex allievo CPM, la scuola fondata molti anni fa da Franco Mussida, ed ex docente dello stesso CPM.
DB - Esatto. Ho avuto la fortuna di avere prima di tutto un grande maestro, che è stato Giorgio Cocilovo. In seguito, altri due, che sono Gigi Cifarellli e Claudio Bazzari, che, non a caso, oggi insengnano nella mia scuola. Poi ho avviato dei miei corsi in quella scuola, poi in un'altra ed infine ho aperto la mia.

SM - Un dato curioso della tua biografia, però, è che sei impegnato in mille attività: didatta naturalmente, ma anche autore di libri, articoli, inventore, progettista, disegnatore. Quello che sembra mancare è l'attività di chitarrista attivo sul palco. Ne parli poco. Come mai?
DB - All'inizio della mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare con due artisti straordinari: Gatto Panceri, un musicista dalla classe e musicalità eccezionale e Maurizio Vandelli, che mi ha insegnato molto sia sulla musica, sia sul business. Ciononostante, quelle esperienze molto intense mi hanno fatto capire che quella non era la mia strada. Accanto all'attività per i grossi nomi ho fatto ventitrè anni di concerti dal vivo, suonando tre volte alla settimana, con alcune delle migliori cover band d'Italia che ho fondato, alcune delle quali girano ancora oggi. Ho collezionato qualcosa come duemilaseicento date. Non ci sono tanti musicisti in Italia che possono dire la stessa cosa. Una delle cover-band più famose, che esiste ancora, era gli Oxxxa, con la quale facevamo un genere Top-Fifty, da Gig Robot D'Acciaio a Van Halen. Con loro sono stati sei anni di successo incredibile. Un'altra cover band che andava fortissimo erano gli Shary 4, con i quali ho suonato davanti a settemila persone. A volte un artista famoso non ha tutto quel pubblico.

SM - Ma allora quali sono i criteri che dettano le tue scelte musicali?
DB - Non fare mai una cosa solo perché ti piace; non fare mai una cosa solo perchè ti fa guadagnare. Le due condizioni devono essere contestuali. Ecco perchè non faccio un disco: venderei mille copie. Ecco perchè non vado più in tour: prenderei metà del cachet che prendevo vent'anni fa. La scuola che ho fondato, la Rock Guitar Academy, riassume queste due condizioni: è un business, ovviamente, ma fatto col cuore.

SM - Arriviamo, così, all'insegnamento. Da dove è soffiato il vento che ti ha portato alla didattica?
DB - Non so, ci ho riflettuto a lungo. Forse perchè a scuola ero una scarpa! A parte gli scherzi, devo dire che un grande artista come Franco Mussida, col quale ho lavorato a lungo, mi ha dato una grande mano. Intanto bisogna capire che stiamo parlando di un periodo in cui non esistevano metodi per chitarra rock. Tutto quello che si sapeva lo si imparava dai dischi o cercando di mettersi in prima fila ai concerti di Van Halen per vedere come diavolo si suonava Eruttino. E lui cosa faceva? Si girava mentre la suonava così non capivi niente. Era frustrante. Oggi basta accendere il computer e trovi qualsiasi cosa.

SM - Infatti, fino a poco tempo fa, imparare la chitarra significava scegliere tra classica e jazz.
DB - Esatto. Inoltre, c'è un aspetto filosofico-esistenziale. Attorno ai trent'anni, a molti,  a me in particolare, viene da chiedersi: ma che senso ha la mia vita? Che cosa sono qui a fare? Che colassero? Quale contributo darò all'umanità? Ho pensato che tra le cose migliori, si potesse vedere felici delle persone insegnando loro uno strumento musicale, sia che volessero intraprendere una carriera, sia solo per il piacere di essere creativi.

SM - Questo però a pregiudicato la tua attività live.
DB - Per il momento sì. Il fatto che suonavo ancora dal vivo con gli Shary 4 quando i corsi, di cui avevo depositato il nome avevano cominciato a prendere piede, tanto che ho dovuto fare forzatamente una scelta. Oggi sono impegnato qui dalle nove del mattino alle undici di sera. E quando non insegno, mi chiudo in una stanza a studiare. prima o poi riprenderò a suonare dal vivo, ma non ora. La Rock Guitar Academy, nata con un piano assicurativo per ottanta persone, oggi conta circa duecento allievi, abbiamo i corsi piene e ne stiamo aprendo dei nuovi.

SM - Parliamo di sbocchi professionali. Te la metto giù dura. L'iper-specializzazione in chitarra rock non è limitativa? Il musicista moderno no deve essere iper-dutttile?
DB - Chiariamo le cose: il fatto che si chiami Rock Guitar Academy non significa che si escludano quei generi che sono alla base del rock, cioè il jazz e il blues, non per niente insegnano due maestri come Cifarelli e Bazzari. Quando i ragazzi si riuniscono nelle classi di musica d'insite,e suonano esclusivamente standard jazz, proprio perchè non si può non conoscere i fondamentali. Inoltre, venendo all'aspetto business, oggi è richiesta la specializzazione. Ti chiamano se sai fare quella specifica cosa al massimo livello. Chi Sto arrivando! fare in po' di tutto, a meno che non abbia doti manageriali straordinarie, non ha futuro. Questo accade anche nella musica. Tieni conto che nella mia lezione il rock copre il 40%, il resto è teoria, armonia, improvvisazione, tecnica, ritmica funky. L'importante è che il mio allievo, quando si esibisce, lasci a bocca aperta chi lo ascolta come chitarrista rock, ma non esclude che sappia fare altro.

SM - In quest'ottica di specializzazione hai avviato corsi e seminari su specifici aspetti della tecnica. Sono tantissimi e visibili sul tuo sito www.donatobegotti.com.
DB - Esatto. E non solo. Attualmente ne abbiamo avviato uno, con un ortopedico specialista della mano, oltre che chitarrista, che spiega tutti i rischi in cui può incorrere il musicista per impostazione sbagliata o iperlavoro. Ne abbiamo un altro con un esperto di diritto d'autore per spiegare come legger un contratto, cosa firmare e cosa no, come non farsi imbrogliare da un impresario poco onesto e così via.

SM - Mi sembra una filosofia volta alla formazione completa del musicista.
DB - Il fatto è che non ci accontentiamo di insegnare come si suona uno strumento, ma cerchiamo di spiegare come gestire il talento che si è coltivato, come mostrarlo agli altri nel modo più giusto. Anche come vendersi in qualità di artisti: se vai a parlare con un discografico che vorrebbe pubblicarti, basta un errore di approccio e tutta la tua arte non la conoscerà nessuno, perchè il disco non uscirà. Non è marginale. Aumentare l'autostima è essenziale per un musicista. Io conosco strumentisti bravissimi che quando si accende la sua della registrazione si emozionano e danno il 50% delle loro capacità.

SM - Faccio ancora l'avvocato del diavolo: i grandi musicisti sono diventati tali, non perchè qualcuno ha insegnato loro l'autostima, ma perchè esiste una selezione naturale che taglia ad una certa soglia le speranze di successo dei più "deboli" ed eleva tutti gli altri, facendoli emergere. Non è che la stiamo facendo troppo complicata?
DB - Capisco i motivi della domanda, ma non è così. I nostri seminari, le nostre lezioni sono animate da uno spirito volto all'autostima, ma non si parla di teorie psicologiche. Mi spiego meglio: nella mia classe io pretendo che gli allievi mi dicano se hanno studiato oppure no. Se lo scopro dopo, mi arrabbio. Uno degli aspetti più importanti del musicista oggi è l'affidabilità, che si coltiva a partire da qui. Se uno ha il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi "non sono pronto", comincia a capire che cosa significa affidabilità. Questa è rettitudine. E' disciplina di musicista, ma anche di uomo. La scuola è un ambiente protetto, ma fuori di qui nulla si perdona e allora bisogna imparare qui come comportarsi, avere una luce interiore che ti fa sentire nel giusto. La personalità si forgia in tre anni di vita di classe, nel rapporto con gli insegnanti e in una sana competizione, con gli altri studenti.

SM - Cosa intendi per sana competizione?
DB - Hai presente nelle arti marziali cosa succede quando un allievo mena male un altro allievo? Arriva l'insegnante e lo mena lui. Ecco, così faccio io. Non esiste umiliare gli altri ragazzi, fare il balletto per mettersi in mostra. Capita raramente, per fortuna, ma, in quei casi, lo prendo da parte e gli spiego come si sta al mondo.
SM - E per i chitarristi acustici non c'è speranza?
DB - Ci stiamo attrezzando anche per loro, perchè il rock è anche chitarra acustica. Tra l'altro, chi viene a scola da noi, trova l'attrezzatura migliore in commercio: gli amplificatori che usiamo hanno un prezzo che va dai mille euro in su e gli studenti hanno a disposizione ogni pedale o multieffetto esistente.

SM - In effetti mentre parliamo, Donato ed io siamo circondati dai watt di un Soldano Slo100 a sinistra e un Mashall JCM800 a destra. Dietro di lui il mitico Brutus nato dalla collaborazione con Guglielmo Cicognani e la FBT.
DB - L'idea nacque da una conversazione telefonica con una persona che mi consigliò di realizzare un amplificatore valvola per i miei studenti. E così in otto mesi progettammo il primo Brutus a basso wattaggio. Confesso che fummo baciati dalla fortuna, ad un certo punto, perchè riuscimmo a beccare suoni da paura, che decretarono il successo di questo ampli.

SM - E della D-Tone, la chitarra della Eko, cosa mi dici?
DB - La D-Tone è una chitarra che ho immaginato io per Eko e realizzato con l'aiuto di un mago dei liutai come Molinell, e viene prodotta nella Repubblica Ceca, dove ogni tanto mi reco per vedere i nuovi prototipi e come procede la realizzazione. E' una chitarra per studenti, ad un prezzo abbordabile, ma con dentro tutta la mia esperienza di professionista.

SM - A proposito di tecnologia, ci sono corsi, naturalmente anche per imparare ad usarla accuratamente. Quanto è importante la sua gestione in funzione dello sviluppo della personalità del musicista?
DB - Questo aspetto è un aspetto molto importante. Uno dei miei corsi, RLS, significa Rhythm, Lead, Sound, punta molto sul suono, perchè è na componente fondamentale, che talvolta viene trascurata. Il suono è un misto di tecnica e tecnologia, ma è la seconda che va regolata in funzione della prima e non viceversa. Tutto parte dalle dita, da come le muovi e dal suono che produci. In virtù di quello che esprimi con le mani, passi alla regolazione di effetti e amplificatore e, di conseguenza, ogni regolazione e personalizzata.

SM - Gli errori principali che si fanno nell'uso degli effetti?
DB - Esagerare con gain e riverbero. Anche inconsapevolmente si satura il suono per mascherare un difetto. Più si studia e ci si perfeziona e meno gaia si usa, perchè sporca il suono e invece tu vorrai che il pubblico senta perfettamente ogni nota che farai. E poi: meno cose usi e meno imprevisti avrai, ma soprattutto, si aprirà la tua creatività. Un chitarrista con dei suoni incredibili come Tom Morello dei Rage Against The Machine, ha una testa mono, due pedalini e il resto è ingegno e tecnica. Scott Henderson è un altro che un tempo usava un enorme ras, mentre oggi gli basta il blues che ha nelle mani.