4 chiacchiere con Donato Begotti - SHG - Novembre 2006

Intervista di Cristiano Cameroni

Incontrare Donato Begotti non è stato facilissimo. L’agenda del biondo chitarrista è infatti fittissima; e fra lezioni, clinics, concerti e session in studio che lo portano da una parte all’altra d’Italia, trovare una mezz’ora per chiaccherare del più e del meno può diventare un compito arduo. Ma, come si dice, chi la dura la vince... e alla fine, fra un concerto e una demo in quel di Caserta, siamo riusciti a incontratrci per parlare di SHG.

Una grande emozione

Ogni volta che attraverso i cancelli di Second Hand Guitars” esordisce Donato “provo un’emozione grande. È qualcosa che ti fa battere forte il cuore, è un appuntamento al quale ci si presenta come ad un incontro fra vecchi amici. Questo, per quanto mi riguarda, accade in modo particolare per le edizioni di Milano, perché la maggior parte dei miei amici è proprio di qui e tutte le volte ci ritroviamo, io a suonare e loro ad ascoltare –o viceversa.“

CC: “Sono performance del tutto particolari...”
DB: “Decisamente. Però devo dire che, al di là di quella che è la mia esperienza, Second Hand Guitars è un appuntamento che è comunque in grado di comunicare emozioni fortissime a qualsiasi persona innamorata della chitarra. Voglio dire... non esiste niente di simile in Italia, e anche all’estero non mi è praticamente mai capitato di imbattermi in manifestazioni come questa. E credo che di questo debba essere dato atto ad Alberto Biraghi e ai suoi più stretti collaboratori. Loro sono stati capaci di inventarsi una cosa del tutto nuova, senza copiare da altri.”

CC: “Fra l’altro, SHG è un evento che funziona benissimo...”
DB: “Altroché! Ormai è una vera e propria istituzione per il popolo dei chitarristi; ed è una istituzione per la quale siamo tutti riconoscenti a chi, insieme ad Alberto, l’ha inventata.”

CC: “Tornando alla tua esperienza, c’è qualche aneddoto in particolare che ricordi con particolare... emozione?”
DB: “Assolutamente sì. E non è neanche troppo lontano, perché risale alla penultima edizione milanese. Ricordo che tenevo una piccola clinic su alcuni fraseggi di Eddie Van Halen –e si vede che l’argomento era decisamente “centrato”, perché ricordo con precisione che, non appena io sono salito sul palco, l’intero pubblico dell’Alcatraz si è riversato di fronte a me! Credimi, è stata davvero un’emozione fortissima...”


Parlando di didattica

CC: “Mi ricordo di quel tuo intervento. Io ero proprio in mezzo a quel 
pubblico, e sono rimasto molto impressionato dal tuo modo di raccontare, 
con passione e freschezza, anche i dettagli più... accademici di un fraseggio musicale. Se non mi sbaglio, parlavi dell’assolo di Beat it, e ti divertivi a 
suonarlo cominciando da un tempo lentissimo e accelerando progressivamente... e il pubblico, soprattutto i ragazzi più giovani, ne era letteralmente affascinato. ”
DB: “Sì, è vero. Del resto, secondo me il ruolo di chi insegna è proprio 
questo. Un buon insegnante deve essere capace di schockare l’allievo in 
senso positivo. Per insegnare bisogna prima di tutto trasmettere l’amore viscerale per la musica e per lo strumento. Se questo non accade, bastano 
tre o quattro lezioni perché qualsiasi studente perda interesse e motivazione. Sono convinto di questo al punto che, nei miei corsi del Master di Chitarra 
Rock (corso che inizierà il prossimo ottobre 2006 presso L’Accademia del 
Suono –nuova ed unica sede del mio MCR®) ho adottato una politica del 
tutto nuova. In due parole: gli allievi frequentano per quattro settimane e, a 
quel punto, se sono soddisfatti proseguono negli studi. Viceversa, smettono 
di seguire le lezioni e noi restituiamo loro quello che hanno speso.”

CC: “Notevole... anche se ho l’impressione che, se le lezioni sono tutte come quella clinic su Van Halen, saranno decisamente in pochi a non essere soddisfatti.”
DB: “Ti ringrazio del complimento. Fra l’altro, quello che dici fa crescere in 
me la convinzione che l’appuntamento di Second Hand Guitars dovrebbe 
essere preso in considerazione molto più seriamente proprio da parte delle scuole.”

CC: “In che senso?”
DB: “È presto detto. Penso che sarebbe davvero molto interessante se le 
scuole più importanti prendessero a SHG un tavolo a testa. I visitatori della 
fiera, e in modo particolare i ragazzi, potrebbero così prendere visione dei programmi, dei costi, dell’elenco degli insegnanti... e magari, se la cosa 
fosse organizzata per bene, potrebbero anche ascoltarli suonare dal vivo, a rotazione, su di un palco speciale.”

CC: “Una bella idea... una specie di Try before you buy della didattica. Anche questo viene dall’impostazione dei corsi di cui sei coordinatore?”
DB: “Sì e no... Voglio dire, normalmente chi viene a studiare con me sa già in partenza che cosa lo aspetta –ma l’idea di poter ascoltare in anteprima l’insegnante viene soprattutto dalle riflessioni sulle esperienze di segno 
opposto che ho avuto modo di vivere nei miei primi anni da studente!”

CC: “Vuoi dire che c’è qualcuno che è riuscito a farti annoiare con la chitarra?”
DB: “Non esattamente, in realtà mi riferivo ad una serie di lezioni private di armonia durante le quali l’insegnante non faceva altro che sbadigliare... Fra l’altro, i miei primi passi nella musica non sono stati alla chitarra, ma con le tastiere.”

CC: “E come sei passato alle sei corde?”
DB: “È un episodio che si ricollega ad un grande progetto a cui sto lavorando 
in questo periodo della mia vita, perciò ci tengo a raccontartelo come si 
deve... Dunque, come ti ho detto, io mi ero avvicinato alle tastiere, che allora erano soprattutto i grossi modelli Farfisa. Mio cugino, all’epoca, era un 
chitarrista rockabilly che andava davvero forte, forte, forte... e questo, nel 
nostro gergo, voleva dire che era davvero molto bravo. Un giorno, nel 1978,
lui mi ha venduto la sua Eko Kadett per la cifra di 60.000 lire. Ricordo che era una giornata di pioggia e che andai a prenderla in motorino.”.

La prima chitarra... E l’ultima

“Fu davvero l’inizio di un grande amore. Con quella chitarra ho cominciato a studiare, e da allora non ho mai smesso.”

CC: “Immagino che quello strumento sia un pezzo fondamentale della tua collezione...”
DB: “Sbagliato! Vedi, Donato ama fare esperimenti; e così quella Kadett è 
stata più volte verniciata e riverniciata. Poi ci ho messo addirittura un perno, 
per farla ruotare –con il risultato che una volta mi sono anche beccato una palettata in faccia! Insomma, per farla breve, alla fine la chitarra non ce l’ha 
fatta più, e non so neanche che fine abbia fatto.”

CC: “Ti sarai pentito per questo...”
DB: “Nella maniera più assoluta. Anche perché la chitarra non è uno 
strumento qualsiasi. È uno strumento da abbracciare, da tenere sul corpo... insomma, se qualcuno la ritrovasse, sarei disposto a sborsare cifre folli per riaverla!”

CC: “Questo ha qualche cosa a vedere con il progetto a cui accennavi poco fa?”
DB: “Al cento per cento. Ed è una cosa che mi riempie di emozione, perché va molto al di là di qualsiasi normale lavoro o di qualsiasi logica di business. Pensa: qualche mese fa, a quasi trent’anni da quella giornata piovosa, la Eko ha chiesto a Donato Begotti di realizzare un modello Signature!”

CC: “Ne sarai orgogliosissimo...”
DB: “Orgogliosissimo è dir poco! Per me è come una missione, è una 
questione di fede... e un doverosissimo tributo alla mia prima chitarra. Che 
poi, a conti fatti, era un vero, meraviglioso strumento... Second Hand!”.